Le Indignate Rosse
Poste Italiane Addio!!!!
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 Novembre 2013: Enrico Letta annunciava il piano di privatizzazioni per pagare il debito pubblico.

“Complessivamente questa operazione di cessione di quote societarie dovrebbe far entrare tra i 10 e i 12 miliardi di euro nelle casse dello Stato”,  ha dichiarato il premier, “di cui la metà andrà a ridurre il debito nel 2014 e il resto a ricapitalizzazione della Cassa depositi (controllata all’80,1% dal Tesoro)
Tale piano riguarda
– Eni (Tesoro 4,34%, CDP 25,76%), Stm (indirettamente Tesoro 50%) e Enav (100% Tesoro),
– Sace (100% CDP), Fincantieri (99,..% Fintecna al 100% di CDP), Cdep Reti (ha in pancia il 30% di Snam) e Tag (CDP 89% tramite CDP Gas)
– Grandi Stazioni (60% FS a sua volta 100% Tesoro)
– Poste italiane (100% Tesoro)Le ”norme  facilitano il processo di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, esteso anche alle Regioni e agli enti locali con la possibilità di cedere beni immobili alla Cassa depositi e prestiti (Cdep)”, la società pubblica che gestisce i risparmi postali degli italiani

Dopo un periodo piuttosto lungo durante il quale le privatizzazioni sono state di importo basso o “di facciata” – a motivo del fatto di avere la Cassa depositi e prestiti come acquirente -, è in corso una accelerazione  non solo per intervenire in maniera quantitativamente decisa sul debito pubblico, ma anche per offrire un segnale forte al pubblico degli investitori sulla serietà delle intenzioni del Governo italiano.

Cosa e come vendere
Settore energetico
Lo Stato detiene ancora una quota di Eni e Enel e, attraverso la Cassa depositi e prestiti, una quota azionaria di controllo sulle società di rete, Snam Rete Gas e Terna. In molti casi queste società hanno generato negli anni utili che, nella forma di dividendi, hanno contribuito alle entrate dello Stato.  E che, in prospettiva, potrebbero costituire un implicito freno a una maggiore apertura del mercato, laddove una accresciuta concorrenza ridurrebbe profitti e dividendi. La posizione dello Stato proprietario e al contempo custode dell’interesse pubblico potrebbe entrare in conflitto.
Sono in agenda nei prossimi anni ingenti investimenti di potenziamento delle infrastrutture, che consentano guadagni di efficienza e una maggiore apertura nei segmenti concorrenziali. E risultano cruciali, per il finanziamento sul mercato degli investimenti, un quadro regolatorio stabile e rendimenti adeguati sul capitale.La posizione delle società infrastrutturali, Snam Rete Gas e Terna, appare diversa da quella di imprese che operano nei segmenti a monte o a valle potenzialmente in concorrenza con altri operatori, come oggi in gran parte avviene per Eni e Enel.
Una vendita delle quote di Snam Rete Gas e di Terna rendendo i poteri pubblici meno vincolati a un quadro regolatorio stabile e sufficientemente remunerativo, potrebbe comportare un aumento del costo del finanziamento e un impatto negativo sugli investimenti.

Telecomunicazioni

Oggi, lo Stato non ha più nulla da cedere; casomai, sembra ciclicamente affacciarsi la prospettiva di una nuova entrata nel capitale di Telecom Italia per finanziare gli investimenti nella rete broadband.

Ferrovie e Poste
P
otrebbero essere invece oggetto di privatizzazione.

In entrambi i casi la struttura attuale dell’impresa pubblica richiede, assieme alla privatizzazione, un profondo intervento di ridisegno dei confini, delle attività e del regime di erogazione dei servizi. In assenza di questo, finiremmo per creare dei monopoli privati fortemente distorsivi.

Il gruppo Ferrovie dello Stato opera attraverso diverse società per la parte infrastrutturale (Rete Ferroviaria Italiana, Grandi Stazioni, quest’ultima “in odore” di privatizzazione secondo le ultime notizie di cui sopra) e per i servizi (Trenitalia, Trenitalia Cargo), con una integrazione verticale del tutto inadatta all’apertura alla concorrenza di alcuni segmenti di servizi (alta velocità, merci).

È inoltre di recentissima istituzione una Autorità di regolazione, tuttora in fase di start up, e manca completamente una separazione contabile tra attività di monopolio e attività in concorrenza, che rappresenta la precondizione per evitare comportamenti distorsivi e predatori dell’impresa dominante.

Per Poste Italiane  il discorso è analogo: oggi opera con diverse funzioni e su una pluralità di mercati. Promuove la raccolta del risparmio postale, alimentando le attività della Cdp; svolge un servizio pubblico per alcuni dei servizi postali; è entrata in modo aggressivo nei servizi bancari, assicurativi e di telefonia mobile. Per il comparto bancario e assicurativo, le specificità dell’operatore Poste Italiane l’hanno sottratta a una serie di vincoli ed esclusa da alcuni servizi. Ma difficilmente l’anomalia potrebbe permanere a valle di una privatizzazione. Né, d’altra parte, è chiaro per quali ragioni tutte le attività dovrebbero rimanere integrate in un unico gruppo multiservizio.

L’annunciata privatizzazione di Poste con l’ingresso di soggetti privati nel capitale della società a partire dal 30-40% significa il  passaggio  ad una privatizzazione con capitale privato con ingresso nel mercato azionario e un impatto sulla qualità e universalità del servizio e sulla occupazione considerati come effetti secondari e non pregnanti.

Vale il discorso anche se lo scorporo  riguardasse la parte banco assicurativa lasciando pubblica quella postale.

E che dire della beffa di far partecipare come azionisti di minoranza  i/le dipendenti  alla gestione di un’azienda privatizzata. Una caricatura della partecipazione richiesta per esempio dal movimento per l’acqua pubblica che non perderebbe di peso se a rappresentare i dipendenti ci fossero dei sindacati addomesticati.

Questa come le altre privatizzazioni sono i danni di guerra che i cittadini italiani devono pagare per aver votato dagli anni ’90 una classe dirigente che si indebitava non in base a politiche di sviluppo ma a logiche di rendita e che costringeva lo Stato ad una composizione della spesa pubblica schiacciata sulla filiera del cemento.

Contrastare queste privatizzazioni vuol dire rigettare l’ideologia liberista che le muove e che tratta in termini di resa finanziaria dei settori strategici per l’economia di un  Paese.

Non esiste controllo senza gestione: il mantra della ‘governance’ è una truffa!

La loro privatizzazione allarga il debito perchè indebolisce ulteriormente l’ossatura economica del Paese e perchè cancella il diritto ad un accesso universale e ad un controllo pubblico dei beni in oggetto.

Non c’è aspetto della nostra vita che non sia colpito dal pagamento di un debito che i cittadini non hanno contratto: dal welfare, alla democrazia, dal salario alle pensioni, dall’abitare ai trasporti.
Fino a quando?

AV

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