La giornata internazionale della donna ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo. Questa celebrazione si è tenuta per la prima volta negli Stati Uniti nel 1909, in alcuni paesi europei nel 1911 e in Italia nel 1922.
Nella New York del 1911 anni fa come oggi anche in Italia il lavoro non solo viene umiliato ma c’è chi vi perde la vita.
Le conquiste realizzate in occidente – che le lotte erano riuscite più volte a recuperare – dagli anni ’80 hanno subito una erosione continua che non ha trovato ostacoli: chi ha veramente contrastato la de industrializzazione, le leggi che legittimavano il precariato (l’infame legge biagi è del 2003), la truffa del cd terzo settore che specie nel servizi alla persona utilizzava le agevolazioni legislative esistenti a favore delle cooperative per degradare il welfare?
E’ di queste settimane qui a Torino la resistenza dei circa 500 lavoratori della pulizia delle scuole minacciati di licenziamento, mentre nel 2013 per mesi gli operatori sociali si sono trovati sotto Palazzo di Città insieme alle insegnanti dei nidi.
Chi ha denunciato questa infamia iniziata negli anni ’90 a base di appalti in nome della sussidiarietà e della superiorità del privato (sociale) sul pubblico? C’era Mario Contu e pochi altri con lui.
In un quadro ancora patriarcale (di cui le femministe milanesi avevano decretato il declino 20 anni fa!) settori importanti del welfare hanno per qualche decennio alleggerito le donne che non hanno mai veramente negoziato la divisione sessuale del lavoro nel privato.
Grazie allo sfruttamento di altre donne -migranti- la dismissione di responsabilità pubblica a favore di servizi universali non ha trovato nè nella sinistra più o meno radicale nè nel movimento femminista una seria opposizione.
Nè è mai diventato punto dirimente di un qualsiasi programma elettorare o rivendicazione la discriminazione delle donne sul lavoro in termini di salario e di carriera.
In compenso il numero delle donne che hanno infranto il ‘tetto di cristallo’ arrivando al comando è in lenta crescita e tutelato dalla legge 120 /2011 sulle quote rosa nei cda.
Per una parte del femminismo e per l’opinione pubblica questo è un dato di successo: il genere (uomo o donna) assunto come categoria sociale per creare una discriminazione basata sul sesso perde di consistenza e smette di essere categoria di organizzazione delle relazioni sociali. Esistono solo gli individui, neutri e performanti in competizione per l’affermazione di sè.
Questo pensiero dominante -figlio dell’individualismo liberista- sta prendendo il posto del soggetto collettivo ‘donna’ che lottava per la propria liberazione e per una società inclusiva.
Esso non è diverso dal processo in corso nel mercato del lavoro dove alla contrattazione collettiva e nazionale si vuole sostituire quella individuale.
Esso ha una propria collocazione politica e di classe.
Infatti esso non viene interrogato dalle donne carnefici dei diritti sociali nelle vesti di politiche, sindacaliste, dirigenti o capeufficio. L’espressione del potere in corpo di donna riscatta un simbolico di discriminazione. Tutte possiamo diventare una Camusso o una Fornero!
Purchè le donne di potere nell’esercizio e nella ascesa non siano pubblicamente discinte e non offendano il moralismo catto borghese che ha portato in piazza milioni di donne indignate nel 2011.
Ma è davvero per questo risultato che tante hanno lottato per più di un secolo? Sicuramente una parte.
In questo 8 marzo non vorrei portare solo il dolore per ‘gli individui in corpo di donna’ che non hanno la forza o gli strumenti per sottrarsi alla violenza fisica e psicologica ma anche l’urgenza di ‘fare la differenza’.
Autodeterminazione –parola chiave di questa giornata- è stata fin qui una parola collettiva che chiamava a raccolta un ‘noi’ che il femminismo ha sconfessato. Qual è il soggetto che è chiamato a prendere in mano la propria vita in questa giornata?
E’ una class action di tutte (per combinazione donne) coloro che patiscono un danno comune?
A partire dalla mia identità sessuata unica e irripetibile (ma anche insopprimibile) credo che ci sia bisogno di definire un discrimine tra chi lavora per sè, cercando di capitalizzare per sè le lotte di tante per esercitare il proprio dominio sulle donne e sugli uomini, e chi si batte per un mondo accogliente le differenze, in nome del quale ho speso le migliori forze della mia esistenza.
L’8 marzo è simbolicamente una giornata di lotta. Non solo per i diritti civili dell’universo glbt e per la salute sessuale ma anche per i diritti sociali e del lavoro, per un welfare pubblico ad accesso universale con un accento particolare sulla sanità (e non solo perchè ci lavorano tante donne!)
E poi per discutere del ‘compromesso storico’ attuato con il patriarcato dagli anni ’80, della catena di sfruttamento tra donne e della violenza delle donne sulle donne nel privato, nella famiglia, nel pubblico, perpetrata con gli strumenti obliqui della simulazione, della seduzione e del ricatto affinati nel contesto patriarcale, che il femminismo degli anni ’90 aveva iniziato a nominare e tentare di governare. Le donne non hanno mai smesso di esercitare il potere e forse sono loro le prime a non trovare conveniente smettere di considerare il genere quale categoria di organizzazione delle relazioni sociali.Se le donne non si mettono in gioco con onestà un altro mondo sarà difficilmente possibile.
torino 8 marzo 2014
antonella visintini