Novembre 2013: Enrico Letta annunciava il piano di privatizzazioni per pagare il debito pubblico.
Tale piano riguarda
– Eni (Tesoro 4,34%, CDP 25,76%), Stm (indirettamente Tesoro 50%) e Enav (100% Tesoro),
– Sace (100% CDP), Fincantieri (99,..% Fintecna al 100% di CDP), Cdep Reti (ha in pancia il 30% di Snam) e Tag (CDP 89% tramite CDP Gas)
– Grandi Stazioni (60% FS a sua volta 100% Tesoro)
Dopo un periodo piuttosto lungo durante il quale le privatizzazioni sono state di importo basso o “di facciata” – a motivo del fatto di avere la Cassa depositi e prestiti come acquirente -, è in corso una accelerazione non solo per intervenire in maniera quantitativamente decisa sul debito pubblico, ma anche per offrire un segnale forte al pubblico degli investitori sulla serietà delle intenzioni del Governo italiano.
Lo Stato detiene ancora una quota di Eni e Enel e, attraverso la Cassa depositi e prestiti, una quota azionaria di controllo sulle società di rete, Snam Rete Gas e Terna. In molti casi queste società hanno generato negli anni utili che, nella forma di dividendi, hanno contribuito alle entrate dello Stato. E che, in prospettiva, potrebbero costituire un implicito freno a una maggiore apertura del mercato, laddove una accresciuta concorrenza ridurrebbe profitti e dividendi. La posizione dello Stato proprietario e al contempo custode dell’interesse pubblico potrebbe entrare in conflitto.
Sono in agenda nei prossimi anni ingenti investimenti di potenziamento delle infrastrutture, che consentano guadagni di efficienza e una maggiore apertura nei segmenti concorrenziali. E risultano cruciali, per il finanziamento sul mercato degli investimenti, un quadro regolatorio stabile e rendimenti adeguati sul capitale.La posizione delle società infrastrutturali, Snam Rete Gas e Terna, appare diversa da quella di imprese che operano nei segmenti a monte o a valle potenzialmente in concorrenza con altri operatori, come oggi in gran parte avviene per Eni e Enel.
Una vendita delle quote di Snam Rete Gas e di Terna rendendo i poteri pubblici meno vincolati a un quadro regolatorio stabile e sufficientemente remunerativo, potrebbe comportare un aumento del costo del finanziamento e un impatto negativo sugli investimenti.
Telecomunicazioni
Oggi, lo Stato non ha più nulla da cedere; casomai, sembra ciclicamente affacciarsi la prospettiva di una nuova entrata nel capitale di Telecom Italia per finanziare gli investimenti nella rete broadband.
Ferrovie e Poste
Potrebbero essere invece oggetto di privatizzazione.
In entrambi i casi la struttura attuale dell’impresa pubblica richiede, assieme alla privatizzazione, un profondo intervento di ridisegno dei confini, delle attività e del regime di erogazione dei servizi. In assenza di questo, finiremmo per creare dei monopoli privati fortemente distorsivi.
Il gruppo Ferrovie dello Stato opera attraverso diverse società per la parte infrastrutturale (Rete Ferroviaria Italiana, Grandi Stazioni, quest’ultima “in odore” di privatizzazione secondo le ultime notizie di cui sopra) e per i servizi (Trenitalia, Trenitalia Cargo), con una integrazione verticale del tutto inadatta all’apertura alla concorrenza di alcuni segmenti di servizi (alta velocità, merci).
È inoltre di recentissima istituzione una Autorità di regolazione, tuttora in fase di start up, e manca completamente una separazione contabile tra attività di monopolio e attività in concorrenza, che rappresenta la precondizione per evitare comportamenti distorsivi e predatori dell’impresa dominante.
L’annunciata privatizzazione di Poste con l’ingresso di soggetti privati nel capitale della società a partire dal 30-40% significa il passaggio ad una privatizzazione con capitale privato con ingresso nel mercato azionario e un impatto sulla qualità e universalità del servizio e sulla occupazione considerati come effetti secondari e non pregnanti.
Vale il discorso anche se lo scorporo riguardasse la parte banco assicurativa lasciando pubblica quella postale.
E che dire della beffa di far partecipare come azionisti di minoranza i/le dipendenti alla gestione di un’azienda privatizzata. Una caricatura della partecipazione richiesta per esempio dal movimento per l’acqua pubblica che non perderebbe di peso se a rappresentare i dipendenti ci fossero dei sindacati addomesticati.
Contrastare queste privatizzazioni vuol dire rigettare l’ideologia liberista che le muove e che tratta in termini di resa finanziaria dei settori strategici per l’economia di un Paese.
La loro privatizzazione allarga il debito perchè indebolisce ulteriormente l’ossatura economica del Paese e perchè cancella il diritto ad un accesso universale e ad un controllo pubblico dei beni in oggetto.
Fino a quando?
AV