di Antonella Visintin
Qual è l’analisi della crisi finanziaria, fiscale ed economica
Iniziata nel 2008, la crisi finanziaria dei mercati è stata seguita dalla crisi fiscale ed economica: 5 anni sono passato dal fallimento della Lehman bro.
Questa crisi si colloca nel quadro della teoria monetarista e della ideologia liberista responsabile di averla provocata e in parte della sua gestione (per la regione europea nel contesto della introduzione dell’euro) a totale vantaggio della accumulazione capitalistica e della rendita finanziaria contro i popoli e contro il pianeta.
Precondizione per il suo dispiegarsi è la deregolamentazione finanziaria e la trasformazione della moneta da mezzo di scambio a merce.
Nel 1971 Nixon ha abbandonato la convertibilità del dollaro in oro. Da allora le banche possono creare moneta dal nulla e gli USA si sono specializzati nella produzione di debito in forma di una valuta internazionale, il dollaro.
Nel 1999 Clinton abroga il Glass-Steagall act con il Gramm Leach Billey act e con ciò finisce la separazione tra banca commerciale e banca di investimento. Viene inoltre legittimata la nascita di grandi conglomerati finanziari (tra cui Lehman bro, Goldman Sachs, Morgan Stanley), e favorite la deregolamentazione del commercio dei derivati (tra cui i contratti di assicurazione che prevedono il pagamento di un premio periodico in cambio di un pagamento di protezione nel caso di fallimento di un’azienda di riferimento – i CDS), e la cartolarizzazione dei titoli obbligazionari.
Questo stesso percorso venne realizzato in Europa tra l’80 e il ’90. Le banche centrali furono sollevate dall’obbligo di finanziare i debiti pubblici (e rese indipendenti dal potere esecutivo); allo stesso tempo banche, fondi finanziari e fondi pensione furono liberalizzati, venendo acquisite da soggetti privati; fu liberalizzata la circolazione internazionale dei capitali, non più sottoposti a controlli preventivi o a regole di movimentazione, mentre gli afflussi di capitali si fecero più massicci e si avviarono rimozioni di vincoli, come quello dei massimali di credito (divieto di erogare credito oltre certe soglie) o dell’obbligo di acquistare quote di titoli di debito nazionale per le istituzioni economiche controllate dallo Stato.
I mercati finanziari (creditizio, mobiliare, assicurativo) valgono oggi circa 740mila miliardi di dollari: circa 20mila miliardi in più rispetto ai picchi del 2007. Dieci volte più del Pil mondiale. Insomma: la finanza speculativa, gigantesca, prorompente è tornata perchè le banche centrali stanno stampando moneta mentre il mercato delle commodities stenta. Si attende la bolla dei bond sovrani dopo quella di internet e quella immobiliare.
In ottemperanza alla tesi secondo cui lo Stato deve formalmente tornare ad essere liberale (le funzioni dello Stato liberale sono limitate a compiti di difesa e ordine pubblico: l’intervento in economia è volto e limitato a garantire che i soggetti economici si muovano ed operino secondo la legge di mercato) ma di fatto asservito agli interessi del profitto, della rendita e della finanza. Per garantire il saccheggio dei beni comuni e della ricchezza collettiva.
Per togliere allo Stato ogni potere reale e contrattuale in Italia sono stata inoltre attuate:
– la distruzione delle partecipazioni statali (Amato ha trasformato gli enti statali in spa con DL 386/91 per consentirne la svendita)
la dismissione della R&D e quindi il crollo del posizionamento strategico dell’Italia nella economia internazionale
– la privatizzazione delle banche da parte della direzione generale del Tesoro diretta da Mario Draghi.
Agli inizi degli anni 90, l’Italia era il Paese europeo nel quale il controllo pubblico delle banche era il più elevato: il 74,5%, a fronte del 61,2% in Germania, e del 36% in Francia.
Il processo di riforma attuato ha portato all’azzeramento della proprietà pubblica nelle banche italiane, andando così ben oltre Germania e Francia, le quali, pur riducendo il controllo pubblico, hanno tuttavia mantenuto nel sistema bancario una presenza più che significativa, rispettivamente del 52% e 31%.
La deregolamentazione ha anche prodotto un forte processo di concentrazione, che, attraverso 566 acquisizioni e fusioni per un valore pari al 50% degli asset totali, ha drasticamente modificato il panorama bancario italiano, portando le quote di mercato dei cinque maggiori gruppi bancari dal 34 al 54%.
Se a tutto ciò si aggiunge la privatizzazione della Cassa Depositi e Prestiti del 2003, con l’ingresso nel capitale sociale delle Fondazioni bancarie (30%), saldamente inserite nel controllo delle banche di riferimento, il quadro è abbastanza chiaro: le privatizzazioni hanno portato all’azzeramento di ogni funzione pubblica in campo economico e finanziario, con effetti pesanti direttamente riscontrabili nell’odierna crisi, che vede le scelte economiche del Paese sottostare, in totale sudditanza, alle dinamiche del sistema finanziario nazionale e internazionale.
Lo stato di avanzamento della ‘crisi’ in Italia
Per tenere insieme il sistema bancario sconquassato dalla crisi innescata da metà 2006 dai mutui ad alto rischio di insolvenza che hanno fatto scoppiare negli USA la bolla immobiliare sono state mobilitate massicce risorse pubbliche mettendo in sofferenza l’accesso al credito per le imprese.
Dal 2008 al 2012 il volume dei ricavi è sceso da 84 a 71 mld mentre gli utili passavano dai 17 mld del 2007 ad 1 miliardo nel 2012 con un taglio dei costi di 3 mld.
Anche gli sciacalli piangono?
Da dove trae i suoi guadagni oggi una banca?
l’intermediazione creditiza cioè lo scarto tra I costi pagati per fare raccolta e i tassi applicati sugli impieghi. E’ vero che si sono irrigiditi i parametri per la concessione del credito e che i prestiti erogati sono scesi del 2,71% tra maggio 2012 e 2013. Ma è anche vero che le sofferenze nette ad aprile hanno toccato i 66 mld e quelle lorde i 133 mld a causa di una economia piegata dalla recessione e dalla depressione ma soprattutto dei disastri dei grandi gruppi. Comunque a fine maggio 2013 gli impieghi erano di 1.893 mld a fronte di una raccolta di 1.745 mld: quindi le banche italiane impiegano più di quanto raccolgono da famiglie e imprese e per la differenza ricorrono al mercato dei capitali.
I risparmi della generazione del dopoguerra in continua erosione
La distruzione del welfare state, il grande business del futuro inizia con lo smantellamento della previdenza pubblica e del sistema sanitario sostituito da un pacchetto assicurativo
La fine dalla CIGS prefigura una flexsecurity a carico del singolo disgraziato che deve mangiare tra un lavoro precario e l’altro. Le banche hanno già cominciato a vendere polizze assicurative contro la disoccupazione con 15 clausole che comprendono il licenziamento per giusta causa e il rifiuto di una ‘ragionevole offerta di lavoro’
Il debito pubblico
I derivati
Esso è uno strumento finanziario il cui prezzo “deriva” dal valore di mercato di un altro bene, chiamato sottostante.
I derivati spostano il rischio ma non lo eliminano a livello aggregato.
Ripartiti per categoria di rischio, i derivati si suddividono in
finanziari (sui cambi, sui tassi di interesse, su azioni e merci)
creditizi (i CDS) – i derivati che fungono da polizza assicurativa contro l’insolvenza di un emittente di titoli
Anche i CDS, come tutti i derivati in generale, sono utilizzabili a scopi speculativi, perché consentono di “scambiare” protezione sul mercato come avviene per le valute o per le materie prime. Normalmente la durata di un CDS è di cinque anni. Poiché è un contratto non standardizzato (ne esistono molteplici varianti) è scambiato sul mercato over-the-counter (non regolamentato), dove è possibile pattuire qualsiasi durata. I credit default swap sono anche utilizzati come copertura dal rischio di fallimento (o di declassamento del rating) di uno Stato. In tal caso sono detti in gergo “CDS sovrani” (sovereign CDS).
Vengono contratti:
per copertura di posizioni -variazioni di prezzo- si trasferisce il rischio soggiacente un bene
per speculazione – si compra il rischio per trarne profitto-
per arbitraggio –si acquista un prodotto su un mercato e lo si vende su un altro-
Il loro valore cambia in relazione al variare della attività sottostante (finanziaria o creditizia).
Il loro valore è regolato in data futura.
Posso concernere istituzioni finanziarie e istituzioni non finanziarie.
La loro compravendita può avvenire o in mercati regolati (per l’Italia IDEM, sotto il controllo della Cassa di compensazione e garanzia, oppure di Euroclear, Clearstream e DTCC, per citare i maggiori) o OTC (Over the counter) cioè non regolamentato.
La Cassa di Compensazione e Garanzia (CC&G) è una società per azioni del gruppo Borsa Italiana S.p.A., fondata il 31 marzo 1992 con un capitale sociale di 33 milioni di euro. A partire dal 4 novembre 2011 la Cassa di Compensazione e Garanzia è 100% di proprietà di Borsa Italiana.
CC&G funge da sistema di garanzia come controparte centrale per i mercati azionari e dei derivati italiani (IDEM) gestiti da Borsa Italiana, nonché per i mercati gestiti da MTS S.p.A. e BrokerTec, per quanto riguarda i soli titoli di Stato Italiani. Ossia chi partecipa ad un mercato regolamentato può (nel caso dei mercati di Borsa Italia deve) associarsi a CC&G che si assume il rischio di insolvenza della controparte diventando essa stessa la controparte nel contratto (si veda la voce Compensazione).
Data la rilevanza e la delicatezza per la finanza italiana di questa attività CC&G è posta sotto la vigilanza della Banca d’Italia e della Consob che ne approvano il regolamento.
Possono essere calcolati :
al loro valore nozionale, cioè nominale dei contratti: al valore delle attività finanziarie a cui il contratto derivato si riferisce a prescindere da utili/perdite derivanti dalle quotazioni di mercato.
Per esempio in un caso di swap (scambio di flussi finanziari) sui tassi di interesse –scambio di pagamento di interessi a partire dal un nozionale fisso verso uno variabile- il valore nozionale è il capitale su cui sono calcolati gli interessi scambiati dalle controparti.
al loro valore lordo di mercato che rappresenta un indicatore del rischio di controparte e misura i costi di rimpiazzo dei contratti e tiene conto di vendite e acquisti. Esso è certificato da società di compensazione eccetto per gli OTC
al loro valore netto di mercato dove l’operazione di vendita annulla quella di acquisto
Cioè se A vende a B un derivato che vale 100, il nozionale lordo certificato da Dtcc è 200, perché tiene conto sia della vendita e dell’acquisto. Il valore netto invece è pari a zero perché l’operazione di vendita annulla quella di acquisto.
Secondo la Banca internazionale dei regolamenti, a fine 2012 nel mondo il valore nozionale dei derivati era pari a 633 trilioni di dollari, in leggero calo rispetto al 2011 (700 trilioni). Passando da 10 a 9 volte il PIL mondiale.
Il valore nominale lordo era 222 trilioni di dollari.
Le posizioni nette indicavano però un fair value di gran lunga inferiore, pari a 4760 miliardi di dollari in positivo, e 4300 miliardi di negativo. L’esposizione netta è così di 400 miliardi di dollari.
Nel 2011 con 7650 contratti CDS aperti il nozionale lordo era di 279 miliardi, quello netto di 25 miliardi (21 mld nel 2012 ma cresce la domanda). Il fatto che il nozionale lordo dei CDS sia molto alto significa che i derivati sul debito del nostro paese sono molto scambiati.
L’effettivo rischio dei derivati comprati dall’Italia sarebbe pari a circa 160 miliardi (di cui 100 interest rate swap, 36 mld cross currency swap, 20 mld swaption e 3,5 mld swap ex ISPA) pari al 10% dei titoli in circolazione (1624 mld di euro) ed al 10% del PIL a fine 2012 (1.565 miliardi di euro).
Come riporta la Dttc, al 3 marzo 2013 intorno alle elezioni i contratti CDS aperti sono saliti a quota 14.089, per un valore nozionale netto di 20,465 miliardi di dollari e un valore nozionale lordo (ovvero la somma delle controparti, seller e buyer) di 411,648 miliardi. Mai si era raggiunto un livello del genere.
Come spiega HSBC, gli operatori stanno comprando Cds sull’Italia perché fra le opzioni in campo, in caso di crisi prolungata, c’è anche un’eventuale ristrutturazione del debito pubblico italiano. O meglio, un riscadenziamento. Del resto, come ha ricordato Maria Cannata, direttore generale del Debito pubblico del Tesoro, l’obiettivo è quello di allungare le scadenze di rimborso dei bond italiani.
Uno dei problemi maggiori associati ai derivati è il loro scambio, che avviene nel cosiddetto Over the Counter, ovvero al di fuori delle regole di mercato finanziario. Per ovviare a questo problema sia gli Stati Uniti, con la riforma finanziaria Dodd-Frank, che l’Unione europea con la direttiva Emir hanno provato a dare una stretta regolamentare al fine di ridurre il rischio di questi strumenti finanziari. La nuova normativa europea cerca di trasformare l’Otc in un mercato, tramite la valutazione mark to market del giorno stesso. l’obbligo di registrazione in banche dati e l’introduzione di una garanzia per le operazioni.
I flussi di capitale: nel primo trimestre 2013 il Paese aveva un deficit di 240 miliardi di euro, corrispondente al 18% del Pil, quando agli inizi del 2011 il saldo era praticamente in pareggio.
Dove sono finiti tutti questi soldi, i capitali fuggiti, insomma? La risposta è semplice all’estero. E di chi sono i capitali esportati? Una parte appartengono ad investitori esteri, ma un’altra, cospicua, appartiene ai residenti. Tutto ciò drena ricchezza. Secondo la Confindustria dal 2006 al 2012 in Italia vi è stata una perdita di ricchezza pari a 460 miliardi di euro, mentre la Germania ha avuto un aumento di ricchezza finanziaria di 506 miliardi di euro.
Il bilancio dello Stato
Il saldo primario italiano si aggira su un avanzo del 3% nel 2012 e del 4% nel 2013.
Ad aprile il debito pubblico era di 2.041 miliardi. Rispetto allo stesso mese dell’anno scorso è aumentato di 83,4 mld. A maggio era aumentato di 33,4 mld pari a 2074,7 mld (fonte banca d’Italia)
Ma l’avanzo primario negli ultimi 12 mesi ad prile è di 33,5 mld, il 2,1% del PIL.
L’unica ragione per cui l’Italia pratica l’austerity è il pagamento degli interessi sul debito passato. Il Tesoro spenderà il 5,3% del PIL quest’anno solo per finanziare gli interessi del debito -83 mld di euro-.
Tecnicamente parlando: tanto maggiore è l’onere del debito, tanto maggiore sarà il surplus primario richiesto per contenerlo e il costo politico del suo contenimento.
L’economia reale
Sta rallentando la produzione manifatturiera mondiale. Questo porta la Cina a svalutare la sua moneta procurando un danno competitivo agli USA e alla Germania.
La produzione del manifatturiero europeo è stata in continua espansione dal 2000 (è cresciuta da 1.528 miliardi di euro nel 2000 a 1.840 miliardi nel 2012). La produzione di rifiuti è diminuita di circa il 20% e i rifiuti pericolosi di circa il 18%.
L’industria sta affrontando in parallelo un’altra sfida: ridurre ulteriormente il consumo di risorse, compreso il consumo di energia e, attraverso le tecnologie che forniamo, aiutare tutti gli altri settori dell’economia a fare lo stesso.
In Italia prima del 2008 il valore aggiunto della indutria manifatturiera sul PIL era il 50%. Oggi è il 18% (in Francia è il 15%). Il 60% del PIL è generato dai consumi delle famiglie e il 20% dalla spesa pubblica.
La bilancia dei pagamenti
Nel 2012 la bilancia dei pagamenti europea migliora per un deprezzamento dell’euro e un crollo delle importazioni dei PIIGS.
Nel periodo 1999-2012 nelle nazioni del Centro dell’Europa (Germania, Paesi Bassi, Belgio, Austria) la bilancia dei pagamenti ha accumulato un notevole saldo attivo nell’epoca dell’Euro, ed il debito pubblico complessibamente non s’e’ troppo deteriorato
Nelle nazioni periferiche, la bilancia dei pagamenti ha accumulato saldi passivi nell’epoca dell’Euro, ed il debito pubblico generalmente s’e’ fortemente deteriorato.
L’interpretazione della crisi europea come crisi di bilancia dei pagamenti è inoltre suffragata dall’elevato volume di prestiti bancari erogati dai paesi in surplus ai paesi in deficit prima del dispiegarsi della crisi, dalla successiva interruzione di questi flussi finanziari e, quindi, dagli squilibri crescenti del sistema Target2. Sono stati gli squilibri reali all’interno dell’eurozona ad aver dato origine a flussi di capitale privati che, tuttavia, non hanno contribuito a stimolare un processo di convergenza all’interno dell’eurozona. Con l’ampliarsi degli squilibri e con il successivo manifestarsi della crisi, gli interventi di salvataggio dei governi hanno poi trasformato i debiti da privati a pubblici.
Nel 2012 l’Italia, dopo 7 anni di deficit corrispondenti al 3,5-4% del Pil, ha quasi raggiunto il pareggio della bilancia dei pagamenti. Addirittura, nel quarto trimestre 2012 questa è risultata positiva. Quindi una bella notizia, viene spontaneo credere. Ma non è così! Quando andiamo a guardare i motivi di questo cambiamento ci accorgiamo che tali valori confermano l’inferno in cui siamo piombati. Il pareggio è dovuto esclusivamente al crollo delle importazioni, crollo causato dalla profonda recessione e dal peggioramento di questa che la politica di austerità montiana ha prodotto.
La spesa per investimenti crollata nel 2012 ancora una volta del 10%, e questo spiega “gli ampi margini di capacità inutilizzata” in tutto il Paese. Per il 2013 le imprese prevedono un’ulteriore flessione, quindi non siamo fuori dal tunnel.
Anche la bassa inflazione non è una buona notizia perché è dovuta ad una domanda interna comatosa.
Il crollo della qualità della vita a partire dalle condizioni materiali
Nel 2012 la pressione fiscale italiana è salita al 44% del Pil dal 42,6 del 2011 al 44% del 2012, raggiungendo il massimo storico degli ultimi 50 anni. Eppure a maggio 2013 le entrate tributarie erano 30,1 mld (-0,7 mld su maggio 2012) come esito del collasso della struttura produttiva e del perdurare della evasione.
Reddito disponibile calato nel 2012 del 4,8%, consumi reali calati in due anni del 5%; le forze di lavoro, invece, sono aumentate di 540mila unità grazie alle donne che prima potevano permettersi di stare a casa e ora non più e grazie ai sessantenni che non possono andare in pensione.
Nell’ultimo anno, secondo l’Istat, si è registrato un vero e proprio crollo sul consumo degli alimenti e, in particolare, sulla quantità e/o la qualità di ciò che va in tavola. I dati evidenziano in particolare che la percentuale delle famiglie che nel 2012 ha ridotto la qualità e/o la quantità dei generi alimentati acquistati è lievitata al 62,3% dal 53,6% dell’anno precedente.
Secondo la Cia-Confederazione italiana agricoltori, nell’ultimo anno ogni famiglia italiana ha dovuto sborsare 484 euro al mese più per combustibili, elettricità, gas e trasporti. E l’energia elettrica, che costa sempre di più, viene utilizzata di meno: secondo i dati di Terna, a giugno l’elettricità richiesta in Italia, pari a 25,8 miliardi di kWh, ha fatto registrare una flessione del 6,2% rispetto a giugno dello scorso anno. I 25,8 miliardi di kWh richiesti a giugno sono distribuiti per il 46,7% al Nord, per il 29,9% al Centro e per il 23,4% al Sud.
In conclusione: qual è l’analisi della crisi?
La finanziarizzazione della economia reale, la concezione liberale dello Stato –legislazioni a maglia larga e privatizzazioni, Stato minimo per i popoli e Stato assistenziale per i ricchi e i potenti-, l’assenza di governo super partes, una politica economica e industriale indipendenti dalle lobby che stanno distruggendo e soffocando questo Paese (dove è ricominciata l’emigrazione) tutti prodotti della applicazione della ideologia liberista sono responsabili della cosiddetta crisi.
Cosiddetta perchè scientemente dagli anni ’80 è stato teorizzato e messo in atto in Occidente un attentato al patto sociale social democratico attraverso l’erosione e lo sprofondamento della classe media. Una massiccia espropriazione della sua parte di ricchezza sociale garantita dalle Costituzioni e raggiunta attravrso pesanti lotte. Attraverso la precarizzazione del lavoro viene attuata la destabilizzazione delle esistenze, con il ritorno alla filantropia privata viene messa una pietra tombale sui diritti universali di ogni genere, con il taglio del salari e del welfare ritorna abissale e socialmente accettata la distanza tra chi possiede e chi è deprivato. L’obiettivo è cancellare dalla storia il diritto e la giustizia
Non si esce da questa ‘crisi’ solo riformando il sistema finanziario ma ricostruendo le basi della vita associata, rimettendo sul tappeto il patto sociale ma anche il tema di un governo della economia verso una composizione di consumi basati sempre più sull’accesso e progettati per non diventare rifiuti.