ottobre 2012
.. E’ dall’inizio di luglio che non lavoro, da quando sono stata cacciata dalla Fiom di Bergamo, con una lettera del segretario generale a tutte le aziende della mia zona che diceva che lì dentro la Fiom non ero più io e con una mail indirizzata a me in cui mi si scriveva di sgomberare l’ufficio e riconsegnare telefono e macchina entro la fine di quella settimana.
Era luglio. Da allora sono passati mesi, credetemi, non facili. Avrei dovuto prendere servizio a Roma a fine agosto, non l’ho fatto chiedendo l’aspettativa non retribuita e continuando a chiedere di tornare al mio posto a Bergamo. Avrei potuto mettermi in malattia, ma non ho voluto. Volevo restare dalla parte della ragione. Ho sperato che in questi due mesi cambiasse qualcosa e che il segretario generale di Bergamo o perlomeno quello nazionale provassero a trovare una soluzione condivisa.
Abbiamo denunciato questa epurazione in tutti i modi. Voi delegati in questi mesi avete fatto il possibile affinché io potessi tornare al mio incarico. Ve ne sono grata. Abbiamo chiesto più volte a Landini di venire a Bergamo a parlare. Sono state scritte decine di lettere e di comunicati e raccolte tantissime firme di lavoratori e lavoratrici della mia zona che chiedevano che io tornassi al mio incarico. 65 pagine di firme, perlopiù di iscritti alla Fiom, cui ad oggi nessuno ha ancora risposto.
La scorsa settimana sono scesa a Roma per proporre una mediazione alla Fiom nazionale, dicendo che avrei accettato l’incarico che mi propongono a Roma, ma chiedendo di continuare a seguire alcune delle fabbriche di Bergamo. Credetemi, me ne sarebbe bastata anche una sola! Hanno risposto di no, perché il segretario di Bergamo non mi vuole qui! Punto.
Così si è finalmente svelato il fatto che il problema non è che la Fiom nazionale ha bisogno di me a Roma, cosa a cui francamente, come sapete, non ho mai creduto. Ma semplicemente che il segretario generale di Bergamo non mi vuole. Non c’è altra ragione.
Ho chiesto fino allo sfinimento che mi venisse detto quali sono le mie colpe. Cosa ho fatto per meritare di essere cacciata da Bergamo, dopo tre anni che ho lavorato qui. Nessuno mi risponde. Da qualcuno ho sentito dire che “era qui per una esperienza”, manco fossi stata una apprendista. Come quando le aziende ci comunicano che non rinnovano i contratti precari in scadenza. “Era qui in prova”. Chissenefrega se questa prova è durata tre anni e se ho spostato tutta la mia vita per venire qui a Bergamo! Esperienza finita. Contratto scaduto!
Bell’esempio di coerenza e di democrazia. Noi che della coerenza e della democrazia ne facciamo una bandiera!
In realtà, tutti sappiamo quale è il problema. Ho sostenuto, insieme ad altri, all’interno dei direttivi di Bergamo, le rare volte in cui il segretario li ha convocati, posizioni diverse dalle sue. Avrei dovuto stare zitta nei direttivi, fare finta che tutto andava bene, diventare complice rassegnata anche io di una Fiom territoriale indebolita da un segretario generale incapace di tenerla unita e del tutto impreparato ai continui attacchi di Confindustria e della Fim.
Mi conoscete. Non sono fatta così. Ho detto quello che pensavo, come mi avete spesso visto fare. Sono convinta che dentro gli organismi dirigenti di un sindacato sia dovere di tutti quelli che ne fanno parte esprimere quello che pensano, anche quando è scomodo. La discussione politica, anche dura, dovrebbe essere normale, in Fiom come in Cgil. Di solito i segretari che vengono contestati rispondono politicamente. Il segretario di Bergamo ha risposto burocraticamente in perfetto stile sovietico, cacciandomi via, perché non ha saputo fare altro. Il suo accanimento personale e politico nei miei confronti è il segno più evidente della sua incapacità e del fatto che non è all’altezza del suo ruolo.
Se accadesse in una azienda che una lavoratrice viene cacciata dal suo posto di lavoro e trasferita in altra sede a 600 chilometri di distanza non esiteremmo a parlare di mobbing. Chi si sta comportando con me in questo modo sta facendo la parte del padrone, considerando la nostra organizzazione di sua proprietà. Chi mi sta simpatico lo tengo, chi mi è fedele resta con me, chi mi dà sempre ragione va avanti. Gli altri fuori. Poco importa la qualità del lavoro svolto. Anzi! Un vecchio aneddoto dice che un re alto un metro e cinquanta si circonda nella sua corte di funzionari alti un metro e venti…
Non importa mandare all’aria una zona, come quella di Ponte San Pietro, dove in questi anni, prima con Beppe Severgnini e Simone Grisa poi con me, ci siamo rafforzati e siamo cresciuti. Poco importa cosa pensano e cosa vogliono i delegati di quella zona. Decide il segretario generale. Punto!
Io devo andare via dalla Fiom di Bergamo perché non gli sto simpatica, né personalmente né tanto meno politicamente. Con un delegato si è persino spinto in un “chela la l’è de Roma, la ga de andà a Roma”.
So di non essere “simpatica” nemmeno a parte dell’apparato della Fiom di Bergamo. Figuriamoci, ci sono persone che avevano iniziato a parlare male di me tre anni fa prima ancora che arrivassi. Altri che non mi hanno nemmeno mai chiesto “che ore sono” eppure mi hanno giudicato e hanno creduto di poter dire chi sono o chi non sono. E’ curioso! Tutti i miei delegati, quelli che mi hanno conosciuto, chiedono che io resti a Bergamo a seguire le loro fabbriche, ma sono cacciata via perché altri, che raramente mi hanno rivolto la parola, si ergono a giudici spietati in una grottesca caccia alla strega!
In questi tre anni non è stato facile respingere le accuse e soprattutto le maldicenze di cui sono stata continuamente oggetto. Ho resistito fino ad ambientarmi, soltanto perché ho trovato l’accoglienza di tanti e tante di voi e soprattutto il sostegno materiale di compagni come Beppe e Simone. Sono contenta di aver imparato a fare la sindacalista da loro. E sono orgogliosa di essere stata accettata, accolta e persino un po’ adottata da voi. Quando mi chiedono se i bergamaschi sono chiusi come di solito si dice, rispondo che io a Bergamo ho incontrato una grande accoglienza, inaspettata, vera e profonda. Dopo un po’ non mi è più importato di chi sparlava nei corridoi del palazzo, “cagnette arrabbiate” a cui pareva avessi sottratto l’osso. Ho continuato a fare il mio lavoro e a sostenere quello che pensavo, senza badare alle angherie quotidiane, di chi mi aveva accolta come “quella di Roma che chissà cosa viene a fare qui”….
Ho chiesto soltanto di continuare a fare il mio lavoro, con l’appoggio dei miei delegati, che sono stati con me in questi mesi, tutti, indistintamente, anche quelli che non conoscevano la vicenda politica ma soltanto quella umana.
Mi è stato risposto di no. Ne devo prendere atto.
Questo significa, piaccia o no, che ho perso e che ora ne pagherò le conseguenze con un trasferimento forzato e imposto. Ho fatto di tutto per restare a seguire le vostre fabbriche. E vi ringrazio per tutto quello – tantissimo! – che avete fatto voi. Continuerò a essere sempre disponibile quando mi chiamerete, per qualsiasi informazione o consiglio vi servirà. E continuerò a chiedere in tutti i modi possibili di tornare a Bergamo, così come continuerò a denunciare quello che è accaduto.
Questa vicenda non mi ha insegnato a rassegnarmi ma casomai a tenere ancora più alta la testa. Io avrò anche perso, ma la Fiom di Bergamo, con il suo gruppo dirigente di burocrati stalinisti, di certo non ha vinto.
Tenetela anche voi alta la testa. Come sempre!
Eliana Como